Riflessioni sulla fotografia di viaggio

Durante i viaggi, fotografici o non, in paesi in via di sviluppo, il rischio di comportarsi in maniera inadeguata è sempre presente,

soprattutto quando il tempo a disposizione è poco e si teme di non riuscire a “vedere tutto”.

Si deve perciò fare attenzione anon trattare le persone del luogo come oggetti o, peggio, come fenomeni da baraccone; come in uno zoo al contrario dove gli animali in una gabbia dorata siamo noi fotografi portati a spasso a raccogliere scatti a raffica.

Provo sempre un certo imbarazzo nel rapportarmi con la povertà e la sofferenza e mi chiedo se il diritto di cronaca giustifichi il comportamento invasivo del turista/fotografo pronto a scattare senza porsi troppe domande (sempre che si possa parlare di diritto di cronaca per un fotoamatore). Io non ci riesco.

Nel caso in cui l’intento sia proprio quello di denunciare una situazione particolare è necessario agire con tutta la discrezione e la delicatezza possibile, sempre dopo essersi chiesti se quello che stiamo facendo possa essere veramente utile a migliorare le cose e se valga la pena premere il pulsante di scatto.

Durante un’intervista Steve McCurry ha detto che lui vede una cosa, una persona e scatta, tutto dura pochi minuti: nessuna conoscenza. Questo significa che per fare foto bellissime come quelle di McCurry non è necessaria la sintonia con il soggetto ma è sufficiente la competenza tecnica e l'abilità artistica, il resto sono discorsi. Però in questo modo si realizza solo uno scambio commerciale: il soggetto cede la propria immagine al fotografo che a sua volta la venderà. Tutto qui. Io ritengo invece che un incontro durante un viaggio debba arricchire anche culturalmente.

Per questo i miei ricordi più belli sono legati alle situazioni in cui sono riuscito a creare un legame con le persone incontrate. Come il tassista giordano che, dopo averci scarrozzato per una settimana, ci ha fatto conoscere la sua famiglia e ci ha preparato una squisita grigliata di pesce sulla spiaggia. Ovviamente era il suo lavoro e lo faceva per denaro, però era visibilmente soddisfatto nel presentarci la sua cultura, le sue tradizioni ed i suoi luoghi e contento del nostro apprezzamento. Allo stesso tempo noi abbiamo avuto una visione della Giordania più genuina (parlerò della splendida Petra in un altro articolo del blog!).

Così i ragazzi Masai che ho incontrato in spiaggia a Zanzibar che, dopo un po’ di chiacchiere, si sono dimostrati come tutti i ragazzi della loro età, vogliosi di divertirsi e girare il mondo, come i giovani di qualsiasi latitudine, però anche orgogliosi delle loro origini e delle loro usanze che rispettavano e facevano conoscere ai turisti. Poi vendevano anche le collanine che avevano preso chissà dove… Fortunatamente parlavano bene italiano per cui è stato semplice fare conoscenza.

L’intenzione di questi scatti era proprio quella di mostrarli al di fuori degli stereotipi classici, nei momenti di relax e svago, a divertirsi con la spensieratezza della loro età. Non ci sono riuscito con le raccoglitrici di alghe, un po’ per colpa delle mia timidezza e anche perché erano più schive, e mi sono limitato a scattare qualche scatto del loro lavoro.

L’Africa è un continente giovane, dove l’età media non supera i 18 anni, contro gli oltre 44 dell’Italia: una bella differenza! Per questo questa generazione di ragazzi sarà protagonista del futuro, e non solo africano! L’Africa è un continente in fermento e questi giovani vivono, amano, sperano, lottano e sognano come tutti i loro coetanei nel mondo.

PS. quando ho scattato queste fotografie, nel 2012, la mia tecnica era ancora un po’ grezza, probabilmente ora riuscirei a fare qualcosa di meglio, però ritengo che questo non condizioni più di tanto il richiamo all’atmosfera di questi luoghi.

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